Dai primi software in grado di giocare a scacchi a ChatGPT: l’intelligenza artificiale si è sviluppata enormemente negli ultimi anni. Proviamo insieme a riflettere sull’impatto che le nuove tecnologie in questo ambito avranno nel mondo della formazione e del lavoro
I temi legati all’intelligenza artificiale tornano all’attenzione dell’opinione pubblica sempre più frequentemente. Da qualche mese articoli, servizi video di media diversi, blog e dialoghi più o meno approfonditi analizzano e scandagliano i risultati di interrogazioni a una particolare applicazione della AI, ovvero ChatGPT, nome commerciale di un chatbot (simulatore di conversazione) sviluppato dalla società OpenAI. Rispetto ad altri fenomeni, ChatGPT ha avviato riflessioni multidisciplinari che spaziano dall’informatica all’etica, dal giornalismo alla scrittura in generale. Altrettanto si dica per altre applicazioni della AI, contemporaneamente apparse sul mercato, in ambito delle immagini, della musica e molti altri. Il fenomeno ChatGPT ha il grande merito di aver fatto avviare un ampio dibattito sulle sue applicazioni soprattutto nell’analisi delle conseguenze nel mercato del lavoro e della formazione.
Molte sono le riflessioni valide: come spesso accade tuttavia la contrapposizione dei diversi punti di vista è forte, soprattutto nelle notizie indirizzate al grande pubblico. Proviamo dunque a esaminare qualcosa accaduto alla fine del secolo scorso per trovare qualche spunto di ragionamento.
Intelligenza artificiale: i primi passi
I primi tentativi di realizzare un programma informatico in grado di giocare a scacchi iniziarono nel 1985 presso la Carnegie Mellon University. Nel 1996, in un primo incontro con il campione mondiale Garry Kasparov, l’IBM Deep Blue perse 4 partite su sei, pur potendo contare su una potenza di calcolo che gli permetteva di valutare 100 milioni di posizioni al secondo. L’anno successivo, raddoppiata la capacità di calcolo, la macchina vinse sull’uomo, con due partite vinte, una persa e tre pareggi.
Tra i molti contributi scritti in seguito a questo “sorpasso” spicca il lavoro di Bruce G. Buchanan, Randall Davis e Edward A. Feigenbaum che affermano
“I programmi ricchi di metodi generali di inferenza, alcuni dei quali possono persino avere la potenza della logica matematica, ma poveri di conoscenze specifiche del dominio, non possono comportarsi in modo esperto in quasi nessun compito”, concludendo che “Il potere risiede nella conoscenza”.
Allo stesso punto arrivano anche altri ricercatori, come lo psicologo olandese A. de Groot che, confrontando gli approcci di gioco di scacchisti di ogni livello, ha concluso che i giocatori di più alto livello non considerano un numero maggiore di mosse possibili rispetto ai meno bravi, non proiettano il gioco pensando a troppe mosse e, ad ogni livello, i “trucchetti”, le regole empiriche, sono gli stessi.
In altre parole: il segreto non pare essere la capacità di maggiore elaborazione, ma un approccio creativo e non standard ai problemi, grazie a una migliore organizzazione e a un consolidamento delle conoscenze.
Intelligenza artificiale: la nascita dei primi chatbot
I primi chatbot, programmi informatici progettati per simulare una conversazione con gli esseri umani, si comportavano come le prime versioni del software: chi ha utilizzato il recente ChatGPT3 ricorda errori grossolani.
Le nuove versioni del prodotto di OpenAI e dei suoi concorrenti, che ben hanno goduto dei lanci di fine sul mercato di fine 2022, hanno mostrato per contro una precisione e un affinamento maggiore nei risultati. Molti entusiasti guardano già alle prossime versioni. I più scettici invece si preoccupano delle (ancora tante) corbellerie e strafalcioni restituiti dal software. Per altri ancora invece è il momento di implementarne l’uso in alcuni ambiti e di concludere le sperimentazioni in altri, nella consapevolezza che i miglioramenti degli output tra le versioni siano ancora troppo lontani dalle attese. Consapevolezza rafforzata anche da una maggiore conoscenza del loro funzionamento e dei limiti.
Quali futuri ci riservano dunque le applicazioni delle tecnologie emergenti?
Quali futuri nel mondo del lavoro?
Nel mondo della scuola? Nella nostra vita di tutti i giorni?
Resta aperto anzitutto un quesito: in che modo possiamo uscire dalla contrapposizione di chi è pro e di chi è contro la IA?
Potremmo tornare agli scacchi. Dopo la partita del “sorpasso” furono giocate altre partite, con esiti via via più favorevoli al software la cui capacità di calcolo crebbe sempre più, accompagnata da approcci via via diversi fino al recente AlphaZero. La macchina è quindi invincibile? Sì, per lo meno nel gioco degli scacchi, contesto complicato e non complesso. Sì, a meno che a giocare contro una macchina non sia la combinazione tra una persona e una macchina.
Come sarà il futuro con l’intelligenza artificiale?
La proposta è quindi quella di superare la contrapposizione, ricordando che da un lato il luddismo non ha mai avuto fortuna e dall’altro che quando si parla di AI in un contesto come quello di modelli LLM quali il già citato ChatGPT è bene ricordarne la struttura e i principi su cui essa è costruita, come combinazione del teorema sulla probabilità condizionata di Bayes, delle catene di Andrej Markov e della loro applicazione al linguaggio di Claude Shannon.
Se da un lato l’IA ha il potenziale per trasformare profondamente vari settori, dall’altro è essenziale che le tecnologie emergenti siano integrate con l’intelligenza e la creatività umana, piuttosto che sostituirle. Ad esempio, l’integrazione tra umani e IA potrebbe portare alla nascita di nuove figure professionali, come gli “IA Trainer”, specialisti che guidano l’evoluzione dei modelli IA adattandoli a contesti specifici e monitorandone l’output per evitare errori o distorsioni.
Che cosa sarà dunque possibile realizzare combinando le competenze degli esseri umani con l’output di un chatbot? Quali lavori saranno ridimensionati o eliminati? Quali nasceranno? Come potrà essere di supporto alla didattica nell’educazione e nell’istruzione? Avremo aiuto per le decisioni aziendali? Il coding sarà più facile? E ancora: che sviluppi nell’assistenza alle disabilità, come non vedenti o ipovedenti? Quale aiuto a forze dell’ordine per crimini informatici?
Risvolti dell’IA sul mondo del lavoro e della formazione
I risvolti dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro sono già evidenti e diventeranno significativi nei prossimi anni.
Di sicuro l’avanzare dell’intelligenza artificiale porterà alla scomparsa di alcune professioni tradizionali, specialmente quelle basate su attività ripetitive e prevedibili. Tuttavia, come avvenuto in altre rivoluzioni tecnologiche, questo non significa necessariamente una riduzione complessiva dei posti di lavoro.
Questo non implicherà una riduzione netta dell’occupazione, ma piuttosto una riconfigurazione del mercato del lavoro, con un’enfasi crescente su competenze tecnologiche, cognitive e di gestione del cambiamento.
Nuove professioni emergeranno e molte richiederanno competenze ibride che combinano conoscenze tecniche con capacità creative e di problem solving. Il futuro del lavoro sarà probabilmente caratterizzato da una maggiore collaborazione tra umani e macchine, con le IA a supporto delle decisioni e dell’operatività quotidiana.
Nel settore della formazione, l’IA sta già trovando applicazione in sistemi di apprendimento adattativo, che modificano dinamicamente il contenuto formativo in base alle risposte e al progresso degli studenti.
Immaginiamo classi in cui ogni studente ha un tutor virtuale che adatta il percorso di apprendimento alle sue esigenze, rendendo lo studio più efficace. Allo stesso tempo, i docenti potrebbero avvalersi di strumenti di analisi avanzata per monitorare i progressi degli studenti in tempo reale, permettendo interventi mirati e tempestivi.
Questi sistemi possono ridurre il divario educativo, offrendo supporto personalizzato agli studenti con difficoltà di apprendimento o che vivono in contesti svantaggiati.
Inoltre, l’uso dell’IA nella formazione continua e nella riqualificazione professionale può supportare i lavoratori nell’acquisizione di nuove competenze necessarie in un mercato del lavoro in rapida evoluzione.
Sono molte le aziende che stanno già sperimentando sistemi di AI per la gestione delle risorse umane, come strumenti di selezione automatizzata dei candidati o di formazione basata sulla realtà virtuale.
In conclusione, l’intelligenza artificiale è destinata a modificare radicalmente il mondo del lavoro e della formazione: sarà fondamentale affrontare queste trasformazioni con un approccio integrato, che valorizzi le capacità umane e promuova un uso etico e responsabile delle tecnologie emergenti.
In questa trasformazione i docenti dovranno trovare il modo migliore per sfruttare la tecnologia al meglio, permettendo che alunni e studenti possano crescere come persone, non cadendo nelle trappole della dipendenza tecnologica o della perdita di pensiero critico e creativo.
L’ultimo miglio, nell’adozione dell’intelligenza artificiale, è quel momento in cui le capacità tecnologiche devono incontrare il giudizio umano per tradursi in valore reale.
Come evidenziato dalle sfide già affrontate nel passato, dal gioco degli scacchi alle applicazioni educative, il punto di forza non risiede solo nella capacità di calcolo o nell’ampiezza dei dati, ma nella capacità di interpretare, adattare e innovare. È qui che l’intervento umano diventa cruciale: non per competere con la macchina, ma per integrarla, dando vita a soluzioni che un software da solo non potrebbe mai raggiungere.
Questo spazio non rappresenta una limitazione della tecnologia, ma un’opportunità unica per ridefinire il contributo umano in un mondo sempre più automatizzato, dove l’IA può essere uno strumento potente ma è la persona, nell’ultimo miglio, a fare la differenza.