Chi è il Futurista? Intervista a Roberto Poli - SKOPIA Anticipation Studies Blog

Chi è il Futurista? Intervista a Roberto Poli

Chi è il Futurista e di cosa si occupa? Lo abbiamo chiesto al presidente di -skopìa Roberto Poli

Il “futurista”, ovvero il professionista di futuro che si occupa di aiutare le organizzazioni pubbliche e private ad anticipare e gestire i cambiamenti è ancora poco conosciuto, soprattutto in Italia. 

Nel mondo, invece, i professionisti di futuro lavorano per aziende, grandi multinazionali e per istituzioni internazionali quali esperti di Previsione Strategica. Sono riconosciuti come figure fondamentali che esercitano un ruolo strategico all’interno delle organizzazioni.

Ma perché in Italia fatica ancora a diffondersi questa figura professionale? Cosa fa esattamente un futurista e perché diventa fondamentale averlo all’interno della propria realtà organizzativa?

Lo abbiamo chiesto al Professor Roberto Poli, Cattedra Unesco sui Sistemi Anticipanti, Presidente di -skopìa Srl e Presidente di AFI – Associazione dei Futuristi Italiani, associazione che lavora proprio sul riconoscimento formale della figura professionale del futurista.

EP: Cosa significa lavorare come professionista dell’Anticipazione? Cosa distingue il vero e proprio lavoro con il futuro (il foresight, nel gergo delle istituzioni internazionali) dalla usuale raccolta dati e dalle loro estrapolazioni (il forecasting)?

RP: Possiamo distinguere almeno tre modi fondamentali di usare il futuro. Il più diffuso si limita a considerare il futuro come un riferimento implicito, quasi scontato, delle proprie azioni. Lavorando con una dimensione non esplicitamente tematizzata, il futuro in questo caso rimane inarticolato, fa da sfondo tacito alle azioni senza poter diventare una risorsa attiva da utilizzare proattivamente. Di fronte a questo primo orientamento “passivo” verso il futuro, possiamo collocare una varietà di orientamenti “attivi” che utilizzano intenzionalmente il futuro nel processo decisionale. 

Il più ovvio orientamento attivo verso il futuro assume i tratti dell’ottimizzazione dello sforzo per il raggiungimento di un obiettivo prefissato. Un atteggiamento attivo più sofisticato vede invece l’esplorazione di futuri possibili come direzione principale del lavoro dei professionisti di futuro.

EP: Che cosa si intende per “ottimizzazione” quando parliamo di approcci al futuro?

RP: L’ottimizzazione presuppone la conoscenza di cosa accadrà domani e pone al centro delle proprie scelte l’analisi dei costi e benefici. Questa interpretazione vede il futuro come sfondo per fare scelte razionali.

Le analisi dei costi e benefici, tuttavia, dipendono almeno da una condizione preliminare, ovvero l’introduzione di un ordine unico di preferenze. In altre parole, presuppongono che le diverse scelte siano comparabili rispetto ad un unico criterio. Solo in questo caso ha senso parlare di scelta ottimale. L’ottimizzazione vede il futuro come qualcosa che si può conoscere e rispetto al quale si sa cosa bisogna fare per affrontarlo. Inoltre, l’orientamento al futuro come ottimizzazione presuppone che il punto di arrivo a cui tendiamo sia effettivamente positivo.

EP: Noi continuiamo a ripetere che i futuri sono plurimi e che una loro caratteristica è quella di essere sorprendenti, cioè di aver preso una direzione del tutto diversa da quella attesa. E se quando arriviamo scopriamo che dopotutto non era quello che volevamo ottenere?

RP: L’analisi costi-benefici ha senso solo se il contesto di riferimento è sufficientemente stabile, le istituzioni abbastanza solide e la percezione del futuro relativamente precisa e attendibile. 

Le grandi trasformazioni in atto, le incertezze della situazione attuale, i cambiamenti tecnologici e naturali in gestazione, rendono l’orientamento al futuro come ottimizzazione una strategia sempre meno affidabile.

La logica dell’ottimizzazione presuppone la conoscenza di ciò che in realtà non è conoscibile. Il futuro è e rimane qualcosa che deve ancora essere scritto. In una situazione strutturalmente caratterizzata da elevati livelli di incertezza, l’ottimizzazione induce scelte pericolose. 

EP: Ma allora quale dovrebbe essere l’atteggiamento professionale del futurista rispetto ai possibili abbagli dell’ottimizzazione? Quali potrebbero essere le alternative all’ottimizzazione?

RP: La principale opzione alternativa vede il lavorare con il futuro come apertura di possibilità, a livelli diversi, anche contraddittori, non ordinabili in un’unica gerarchia. Nel contesto dell’aspirazione, il futuro è principalmente un’esplorazione di possibili futuri.

Da questo punto di vista il futuro va inteso come insieme di diverse possibilità: il futuro sarà una realtà diversa, caratterizzata da modi di essere, fare, vivere, conoscere diversi da quelli del presente e del passato. 

È possibile che questi nuovi modi di essere siano peggiori di quelli che attualmente conosciamo, ma è altrettanto possibile che possano anche essere incommensurabilmente migliori o semplicemente diversi da quelli che abbiamo già visto.

Da questo punto di vista, il futuro non è un territorio da mappare e conquistare, ma una fonte di nuove possibilità per il presente. Ammessa la possibilità di innovazioni radicali, il compito di un’organizzazione, privata o pubblica che sia, non può limitarsi a prepararsi a un futuro prestabilito che il board, l’alta direzione, l’imprenditore o chi ha in mano le redini dell’organizzazione ha già immaginato e conosciuto. 

Al contrario, il compito dei decisori sarà quello di creare ed esplorare nuovi spazi di azione nel presente. La tesi del futuro come luogo di novità radicali trasforma le sfide organizzative, costruendo il presente come luogo in cui sperimentare novità, ciò che al momento non è ancora possibile. E nel ventaglio dei futuri possibili, alcuni o molti di questi futuri potranno anche essere negativi. I futuri negativi sono quelli in cui non vorremmo trovarci. Ma proprio il lavoro sui futuri negativi, cioè disfunzionali o addirittura distopici può essere un prezioso strumento per elaborare strategie solide e lungimiranti.

Se vedo i futuri, anche quelli non desiderabili, li posso trasformare in un oggetto di lavoro: ne posso discutere le caratteristiche, posso chiedermi se ho considerato tutte le informazioni rilevanti, quali problemi e quali opportunità ne emergono, chi può diventare un alleato e da chi mi devo guardare le spalle. 

Solo a questo punto, l’espressione ‘lavorare con il futuro’ non è una metafora, ma descrive correttamente il lavoro del futurista: usare il futuro per prendere decisioni nel presente.

Elena Petrucci
Elena Petrucci
Laurea triennale in Sociologia e Scienze Criminologiche per la Sicurezza, Laurea magistrale in Gestione delle Organizzazioni e del Territorio e Master di II livello in Previsione Sociale. Analista di tendenze, è co-responsabile degli Osservatori di -skopìa. Esperta nella progettazione e nell’utilizzo di tool online e digitali per gli esercizi di futuro, si occupa principalmente di formazione e consulenza per le aziende e il settore pubblico.