Giappone: una società che sfida l’invecchiamento

Giappone: una società che sfida l’invecchiamento

Esperienze da cui trarre ispirazione per i nostri futuri: in Italia servono un cambio di mentalità e quadri normativi adeguati

In Giappone, Paese con una delle popolazioni più anziane al mondo, un numero crescente di anziani sta ridefinendo i limiti dell’attività fisica. È da poco nata una nuova divisione over 80 della lega “Calcio per la Vita” di Tokyo. Questo fenomeno riflette un cambiamento nella percezione dell’invecchiamento, con uomini e donne che continuano a partecipare attivamente a sport e altre attività fisiche ben oltre gli 80 anni. La formazione di questa divisione è un segno dei cambiamenti sociali in corso, dove gli anziani sono sempre più presenti nel mondo del lavoro e incoraggiati a posticipare il pensionamento.

Percezione dell’invecchiamento e aumento dell’aspettativa di vita

La creazione della divisione over 80 arriva dopo l’introduzione di categorie simili per gli over 60, 70 e 75 negli ultimi due decenni. Questo sviluppo rispecchia l’aumento dell’aspettativa di vita in Giappone, che è tra le più alte al mondo, con una vita media di 85 anni. Questi arzilli giocatori (un portiere ha 93 anni!) dimostrano che è possibile mantenere un’attività fisica regolare e competitiva anche in età avanzata, sfidando le aspettative tradizionali sull’invecchiamento. Le partite della nuova lega sono diventate un simbolo di questo nuovo approccio alla vecchiaia, mostrando che l’età avanzata non deve essere una barriera all’attività fisica e sociale. Ed è anche un riflesso della società giapponese contemporanea, dove un quinto delle persone oltre i 70 anni è ancora impiegato.

Il contrasto netto tra la vita dei pensionati altrove e quella in Giappone è sorprendente. Certo, esistono case di riposo, ma molti anziani giapponesi sono comunque attivi all’aperto, ogni giorno. Alimentazione sana, socializzazione e attività fisica si traducono in una vita lunga e vigorosa.

L’invecchiamento e la terza età in Italia

L’Italia è appena dietro come aspettativa di vita, dopo la tragedia del Covid-19, e questo ci dice che gli ingredienti giusti ci sono anche qui da noi. Serve solo un cambio di mentalità e di quadri normativi.

Per esempio, alcuni anni fa la città di Nagano ha deciso di ridefinire il concetto di “anziano” applicandolo solo a partire dai 75 anni in su. Quest’anno il governo giapponese ha stabilito che non riconoscerà come anziani le persone sotto i 70 anni, alla luce dell’aumento dell’aspettativa di vita in buona salute. D’altronde, un giapponese su 1500 ha oltre 100 anni; il 29% della popolazione ha passato i 65 anni, il 10% gli 80, con proiezioni che indicano il 40% di over 65 entro il 2050.

Realisticamente, cos’altro potrebbero fare? Essere anziano sta diventando sempre più una scelta, in Giappone.

Ho visto coi miei occhi ultrasessantenni vestite da vivaci quarantenni per recarsi a teatro: dalla distanza, viste alle spalle, non si sarebbe detto che avevano passato i 60. Non c’era alcun motivo di considerarle “anziane”. Sta accadendo anche in Italia: conosco donne e uomini di 60 anni che non sono neppure lontanamente paragonabili ai sessantenni del secolo scorso. In fondo, anche chi scrive, tra non molti anni, rientrerà insospettabilmente nella categoria “anziani”, qualunque significato si possa attribuire a quella designazione.

Come il Giappone reagisce ad una società che invecchia

Il Giappone è uno dei primi Paesi a sperimentare questo livello di invecchiamento, unito a un forte declino demografico (il calo delle nascite non si è mai fermato dal 2011 e l’immigrazione, pur potenziata, non compensa il deficit delle nascite, perché in Estremo Oriente la natalità è ovunque in rapido calo) e le sue risposte a questa “crisi”, se vogliamo ancora chiamarla così, offrono lezioni preziose per altre nazioni. Hanno indetto una “Giornata del Rispetto per gli Anziani” (in effetti, se nascono pochi bimbi, la festa dei nonni ha meno senso), che è una festività nazionale.

Per contrastare la carenza di manodopera, il governo ha incoraggiato il reinserimento degli anziani e delle madri casalinghe nel mercato del lavoro, un approccio che ha avuto un certo successo. Attualmente ci sono oltre 9 milioni di lavoratori anziani in Giappone, un numero in crescita da 19 anni consecutivi, e i lavoratori di età pari o superiore a 65 anni costituiscono oltre il 13% della forza lavoro.

Il tasso di occupazione degli anziani in Giappone è tra i più alti tra le principali economie. Tuttavia, nonostante questo incremento, i lavoratori anziani non sono sufficienti a compensare gli effetti della crisi demografica. Il primo ministro Fumio Kishida ha avvertito che il Giappone è “sull’orlo di non poter mantenere le funzioni sociali” e ha definito il sostegno alla crescita dei figli come la “politica più importante” del governo, sottolineando l’urgenza della questione.

Invecchiare in salute è possibile

A Fukuoka, il “Piano Fukuoka 100” ha l’obiettivo di acquisire conoscenze utili per migliorare i servizi per gli anziani del distretto metropolitano. L’iniziativa mira a creare una società collaborativa regionale, integrando idee innovative da imprese private e università nelle politiche governative: 100 azioni specifiche per preparare la società a una vita media di 100 anni, replicabili in altre regioni con popolazioni anziane in crescita.

Tra gli obiettivi principali del piano vi sono la promozione della salute digitale con sistemi avanzati di monitoraggio, la prevenzione dell’isolamento sociale degli anziani attraverso il loro coinvolgimento attivo nelle comunità e lo sviluppo di programmi di formazione nell’assistenza a persone con demenza. Il piano è stato sviluppato negli anni utilizzando competenze di vari settori, inclusi sanità, welfare sociale, tecnologia dell’informazione, edilizia, comunità, educazione e commercio al dettaglio.

Shitsui Hakoishi, una donna giapponese di 107 anni, è diventata il fulcro di una ricerca sulla longevità a causa della sua eccezionale vitalità. Nonostante i dolori alle ginocchia, Hakoishi mantiene una postura eretta e una mente lucida, continuando a lavorare come barbiera/parrucchiera nella sua casa-bottega. La sua straordinaria condizione ha attirato l’attenzione di scienziati che sperano di svelare i segreti della longevità in buona salute studiando le sue cellule.

Riorganizzare una società di centenari

Questi lavoratori centenari sono dei pionieri. Nei prossimi decenni questo diventerà un fenomeno abbastanza comune. Ogni anno l’aspettativa di vita cresce di diversi mesi in Occidente. In Europa abbiamo superato quota 80, in Italia già da parecchi anni per quanto riguarda le donne.

Storicamente, il periodo di massima produttività e vitalità è stato limitato a circa 20-30 anni e le persone hanno spesso dovuto scegliere tra perseguire una carriera o avere figli, poiché entrambi richiedono un impegno significativo durante il periodo di massima produttività.

Con una durata di vita prolungata, resa possibile da terapie e interventi che in fase di ricerca e sviluppo ai nostri giorni, è possibile immaginare in tempi non lontani una vita di 200 anni in cui l’arco di massima produttività potrebbe estendersi a 100 anni.

Non ci sarebbe più la necessità di scegliere tra carriera e famiglia. Le persone potrebbero dedicare decenni alla carriera e poi decidere di avere figli. O viceversa. Anche se la popolazione dovesse ridursi lentamente, non ci sarebbero necessariamente problemi insormontabili grazie ai progressi nella robotica avanzata e nell’intelligenza artificiale.

L’idea tradizionale di una vita divisa in tre fasi – apprendimento, lavoro e pensionamento – risulta ormai obsoleta in relazione ad un’aspettativa di vita che potrebbe raggiungere i 100 anni già per chi nasce oggi. Questa nuova realtà richiede una maggiore flessibilità, apprendimento continuo e frequenti transizioni lavorative, adatte a lavoratori di tutte le età. Molti individui potrebbero continuare a lavorare oltre l’età pensionabile tradizionale, sia per motivi finanziari sia per piacere o desiderio di contribuire allo sviluppo di comunità e territori.

Alcune aziende giapponesi e occidentali stanno già adottando misure per adattarsi a questo cambiamento, con compensi mensili per i dipendenti “anziani” che si impegnano a lavorare un certo numero di settimane all’anno su progetti a breve termine. Questo modello include anche benefici come contributi pensionistici, congedi pagati e borse di studio per continuare a formarsi. I dipendenti hanno la possibilità di lavorare su ulteriori progetti per una retribuzione aggiuntiva. Sarà presto la norma in tutto il mondo.

FONTI

Stefano Fait
Stefano Fait
Stefano Fait è un analista di previsione strategica con un talento per l’Open Source INTelligence e la costruzione di scenari strategici. Usa metodi quantitativi e qualitativi e ricerca analiticamente connessioni tra concetti, eventi e processi, coltivando però anche la capacità di intuizioni profonde.