I futuri dell’energia: dal nucleare alle fonti alternative - SKOPIA Anticipation Studies Blog

I futuri dell’energia: dal nucleare alle fonti alternative

Quali saranno i futuri dell’energia? Facciamo il punto della situazione su quali potrebbero essere gli scenari della transizione energetica nei prossimi decenni

Analizzare e prospettare i futuri dell’energia è fondamentale per il futuro dell’umanità stessa. L’energia infatti non è soltanto un bene ma il presupposto per godere di tutti gli altri beni.
Per questo è molto importante continuare a tenere monitorata l’evoluzione degli ecosistemi dell’energia, a maggior ragione nel periodo storico che stiamo vivendo e cioè quello delle quattro grandi transizioni: non soltanto quella energetica, ma anche quella ambientale, quella digitale e naturalmente la transizione sociale. 

I futuri dell’energia alla luce delle quattro transizioni

Le quattro transizioni sono variamente interrelate tra loro. Si tratta quindi di prendere atto di una realtà complessa e di sistemi che nel futuro saranno ancora più complessi. Tale complessità non può essere ridotta a scontri ideologici o a prese di posizione di principio.
Lo stesso concetto di “transizione” rimanda alla necessità di mantenersi flessibili in un’ottica di pianificazione di medio-lungo periodo, usufruendo delle migliori combinazione di fonti energetiche via via disponibili grazie al supporto del progresso tecnologico, fino a quando non riusciremo ad ottenere l’effettivo abbandono dei carburanti fossili.

Siamo tutti consapevoli che discutere di energia oggi significa avventurarsi in ambiti dove il contrasto di opinioni è molto forte perché sussistono molte incertezze importanti sia sullo sviluppo delle tecnologie sia sull’evoluzione degli assetti geopolitici. Queste incertezze creano differenze, a volte radicali, di opinioni geopolitiche che pesano sulle decisioni da prendere in merito al futuro delle soluzioni per garantire il fabbisogno energetico dell’Italia e dell’intera Europa.

L’intero 2022 è stato percorso da contrapposizioni e decisioni rilevanti soprattutto a livello di Unione Europea. Il riferimento va prima di tutto alla strategia del Green Deal che ha avuto una forte accelerazione negli ultimi due anni, soprattutto con l’annuncio del 2035 come ultima scadenza per terminare la produzione di motori alimentati da combustibili fossili. Decisione contrastata da vasti settori della politica e dell’industria per il timore di non riuscire a gestire tempestivamente la riconversione di intere filiere dell’automotive e che probabilmente è arrivata proprio in tempi recentissimi dovuta alle divergenze da un lato di Commissione e Parlamento europei e dall’altro del Consiglio europeo, dove siedono i rappresentanti degli esecutivi degli stati membri.

Il futuro dell’energia, gli investimenti sostenibili e il nucleare

Ma la scorsa estate c’è stata un’altra polemica a livello europeo in relazione all’introduzione nella tassonomia degli investimenti sostenibili (ESG) anche della filiera del cosiddetto “nucleare fissile”. Si tratta dell’energia nucleare per scopi civili che conosciamo da decenni e che è stata oggetto di due referendum in Italia nel 1987 e nel 2011 quando il nostro Paese ha definitivamente abbandonato il programma delle centrali nucleari, dismettendole progressivamente. Altrove in Europa programmi sull’energia nucleare fissile sono andati avanti normalmente, nonostante l’eco dei disastri prima di Cernobyl e poi di Fukushima, con la costruzione di nuove centrali. In Francia, ad esempio, ne sono operative più di 50, ma vi sono anche in Svizzera e in Slovenia, per riferirci solo agli Stati confinanti con l’Italia. 

La recente crisi energetica innescata dalla guerra in Ucraina ha riacceso in Italia gli interrogativi sulla possibilità di ripristinare un programma di costruzione di centrali nucleare a fissione di ultima generazione.

In particolare l’anno scorso è entrata in esercizio la grande centrale di ultima generazione di Olkiluoto 3 in Finlandia, un’unità che può produrre 1,6 GW, costata 11 miliardi di Euro e la cui costruzione ha richiesto 17 anni. E in Francia, che presto si troverà probabilmente ad affrontare il problema del fine vita quasi contemporaneo di molte delle sue centrali atomiche, nell’impianto Flamanville l’ultimo reattore da 1,6 GW, non ancora entrato in esercizio benché la sua costruzione sia iniziata nel 2007 costando finora quasi 13 miliardi di Euro. 

Il punto della situazione sul nucleare in Italia

Qualora l’Italia decidesse oggi di rientrare nel nucleare da fissione, occorrerebbero non meno di una decina di anni ma più probabilmente il doppio, ad essere molto ottimisti tenendo conto delle difficoltà burocratiche, dei cronici ritardi nella realizzazione delle grandi infrastrutture e delle forti opposizioni, anche di carattere giudiziario, a cui tale impresa andrebbe incontro, per avere un primo reattore funzionante, mutuando la tecnologia dalla Francia o dagli USA. 

Alcuni esperti hanno stimato che il nucleare fissile, per avere un peso strategico nella generazione elettrica, dovrebbe coprire almeno un 30% del fabbisogno annuale sulla rete elettrica italiana (ca. 100 TWh/anno), il che significa una potenza nucleare installata di circa 16 GW (come 10 reattori come quello di Flamanville) con investimenti enormi che si aggirerebbero a non meno di 130 miliardi di euro. Tenuto conto, infine, che il consumo di energia elettrica in Italia non raggiunge oggi il 25% del consumo totale di energia (lato utenze), sembra che un ritorno al nucleare “sporco” non potrebbe contribuire in misura significativa al raggiungimento dell’autosufficienza energetica a livello nazionale.

E per di più qualcosa si muove invece sul versante della “fusione nucleare”.
La fusione nucleare è una reazione fisica nella quale i nuclei di due o più atomi si uniscono tra loro formando il nucleo di un nuovo elemento chimico.  Perché la fusione sia possibile i nuclei devono essere avvicinati tra loro, impiegando una grande energia per superare la repulsione elettromagnetica. Si sta esplorando le possibilità di sfruttamento della reazione che avviene nelle stelle, quella deuterio-deuterio (D-D), la cui temperatura di soglia è però ancora più elevata per cui servono nuovi magneti basati su superconduttori ad alta temperatura non ancora disponibili. Si pensa che questa e altre tecnologie necessarie a controllare la fusione potrebbero in effetti essere raggiungibili nell’orizzonte di qualche decennio.

Perché stiamo rincorrendo ormai da parecchi decenni la fusione nucleare? Con una semplificazione forse eccessiva potremmo dire che gli impianti a fusione nucleare non producono scorie radioattive e nel caso di incidenti si spengono da soli.

Fino ad ora si è riusciti ad ottenere grandi quantità di energia dalla fusione, ma solo  attraverso processi esplosivi e da oltre 60 anni in tutto il mondo si cerca di riprodurre il processo di fusione nucleare in modo controllato. Ma fino ad oggi non c’è ancora nulla di utilizzabile a livello industriale.

Ci sono però le avvisaglie di un possibile salto quantico, negli ultimi due anni si sono moltiplicati gli indizi di progressi significativi nella ricerca. L’ultimo “indizio” è arrivato all’inizio di quest’anno dal Lawrence Livermore National Laboratory in California i cui ricercatori del National Ignition Facility (Nif) hanno dichiarato di aver prodotto una quantità di energia maggiore rispetto a quella immessa per innescare la stessa fusione nucleare.

Il futuro dell’energia sarà nucleare?

Il grande progetto ITER con l’enorme reattore che si sta costruendo in Francia e a cui partecipa un consorzio formato più o meno da tutto il mondo, ci sono anche gli attuali acerrimi nemici nella guerra in Ucraina, dovrebbe cominciare a funzionare a metà di questo decennio e la sua evoluzione prevede che intorno agli anni Cinquanta possa essere possibile avere il primo prototipo da industrializzare. Ma ci sono altri progetti che ambiscono ad ottenere risultati prima, addirittura entro gli anni Trenta.

Diverse iniziative di ricerca negli USA, in Cina, in UK puntano su impianti molto più piccoli e si pongono l’obiettivo di arrivare al mercato in tempi minori. Ad esempio il progetto SPARC ad opera della società Commonwealth Fusion Systems (CFS, uno spinoff del MIT), a Devens, nel Massachusetts. 

ENI, prima compagnia energetica nel mondo a credere nella fusione nucleare come fonte di energia, è azionista di CFS. Si tratta di reattori di dimensioni molto contenute e di minore potenza, quindi in un certo senso “portatili” e adatti a una rete elettrica distribuita. Produrrebbero inoltre una bassa radioattività che faciliterebbe enormemente la progettazione dei reattori stessi e la loro manutenzione.

La fusione nucleare non crea scorie e minimizza, soprattutto se le dimensioni dei reattori saranno effettivamente contenute, anche il rischio di guerra o di atti di terrorismo. 

Possiamo guardare con fiducia dunque allo sviluppo del “nucleare pulito”? In un’ottica di circa venti o trent’anni, allora, vale la pena riattivare la costruzione di centrali che adottano ancora le tecnologie della fissione nucleare? Vale la pena provare a incentivare la sperimentazione anche attraverso le nostre università e le nostre industrie più avanzate dal punto di vista tecnologico? Come la mettiamo con l’avanzamento delle energie rinnovabili?

Per quanto detto sopra è abbastanza probabile che entro due decenni la ricerca sulla fusione nucleare calda o fredda possa generare una wild card che stravolga le regole del gioco, mettendo fuori mercato quasi tutte le attuali fonti energetiche. Ammesso che le linee del tempo che abbiamo illustrato per la fusione nucleare siano realistiche, molti esperti mettono in guardia sul  fatto che il nucleare da fusione presenta ancora incertezze autentiche non solo a livello di ricerca, ma anche di industrializzazione con questioni tecniche e di costi “impegnativi” sia dal lato costruzione che di smantellamento.

E le energie rinnovabili?

Per questo sembrerebbe più sensato avviare un reale e potente sviluppo delle fonti rinnovabili anche perché la generazione elettrica da fotovoltaico era la più economica già prima della pandemia. Lo dice un grande esperto, Piero Andreuccetti, che ha pubblicato un piccolo libro molto istruttivo sull’argomento che si intitola Energia al Verde (Inedit edizioni). 

Nel libro l’autore fa alcune considerazioni interessanti sulla possibilità dell’Italia di diventare autonoma dal punto di vista del fabbisogno energetico solamente attraverso l’energia prodotta dai pannelli fotovoltaici. Ipotizza uno scenario nel quale tutta l’energia elettrica necessaria in Italia sarà prodotta attraverso questa fonte di energia rinnovabile con delle estrapolazioni sorprendenti riguardo ai costi e alla possibilità effettiva di produrla ottimizzando anche il consumo di suolo.

Ma anche questa soluzione presenta le sue difficili sfide da vincere: l’energy glocalisation, come la chiama l’autore, comporta in ogni caso investimenti elevati e una ripianificazione della rete di distribuzione dell’energia elettrica (ancora basata su grandi elettrodotti che partono da grandi centri di produzione e non è adatta ad una produzione diffusa e multipunto) che presuppone anche questioni di consenso e di regolazione con tutte le difficoltà del caso.

Tanta incertezza?
Non siamo in grado di tracciare delle linee del tempo realistiche?

Non resta che monitorare gli sviluppi e fare esercizi di futuro in grande stile per prepararci e poter affinare sempre più le nostre previsioni.

Antonio Furlanetto
Antonio Furlanetto
Dopo la laurea in Germanistica presso la facoltà di Trieste (ma anche Berlino e Lubiana) ha conseguito il Master in Diritto delle Responsabilità Civili presso l'Università di Genova, specializzandosi poi nel problem solving transnazionale e nella risoluzione dei conflitti culturali. Ha frequentato il Master in Previsione Sociale presso l'Università di Trento. Quando approda in -skopìa porta con sé oltre vent'anni di esperienza professionale nel settore delle assicurazioni (sinistri internazionali, fino al ruolo di country manager), nel risk manager (è socio di ANRA) e nel business aziendale per contribuire alla costruzione dei prodotti dedicati alle imprese e alle amministrazioni pubbliche.