I Neo Futuristi - Intervista A Liliana Cavatorta - SKOPIA Anticipation Studies Blog

I Neo Futuristi – Intervista A Liliana Cavatorta

Continua la rubrica dedicata ai nostri/alle nostre “compagni/e di viaggio” alla scoperta dei futuri nelle scuole e nelle organizzazioni, nella ricerca sulle metodologie e nella disseminazione della Futures Literacy. In questa puntata Sara Boller intervista Liliana Cavatorta.

Liliana Cavatorta – Responsabile Rischi Emergenti e Reputazionali all’interno del Gruppo Unipol. Ha progettato ed è responsabile dell’Osservatorio Reputational & Emerging Risk, definito come la finestra del Gruppo sul futuro o meglio sui futuri. La Futures Literacy e la teoria della complessità rientrano tra i suoi principali ambiti di studio e ricerca.

Per prima cosa, ti chiederei di presentare te stessa e il tuo ambito professionale. Come sei arrivata alla Futures Literacy e come è entrata nel tuo lavoro e nelle tue ricerche?

Mi presento e cerco di farlo con qualche pennellata. Sono partita da studi umanistici e mi sono laureata in Economia e Commercio, diventando dirigente in azienda a 37 anni e mamma a 33, e pur avendo lavorato per molti anni in ambienti tipicamente maschili ho sempre cercato di conservare anche la mia componente femminile e il mio stile di comportamento.

Nel mio percorso di vita professionale più che un approccio “o…o” ho sempre cercato di trovare un bilanciamento, anche se talora difficile e faticoso, tra diverse componenti che per me sono importanti. Innanzitutto il lavoro e la famiglia e gli affetti, ma anche il lavoro e l’apprendimento continuo, il mondo dei numeri e quello delle parole, cercando sempre anche nelle materie “tecniche”, che in qualche modo sono anche un po’ aride, l’idea di una certa bellezza. Bellezza che per me non è solo bellezza estetica ma anche una bellezza valoriale, un cercare di fare qualcosa che sia bello perché può generare in qualche modo un impatto positivo, anche laddove sia difficile da misurare come nell’ambito degli intangibili.

Anche come Risk Manager ho sempre guardato il lato del rischio ma anche il lato dell’opportunità, più che il “bicchiere mezzo pieno o bicchiere mezzo vuoto” io il bicchiere tendo a vederlo, per usare un’espressione che mi è piaciuta molto del filosofo Luciano Floridi, come un bicchiere che può essere riempito, che ha degli spazi di miglioramento e di sviluppo, ed anche io, durante il mio percorso come persona e come manager, ho sempre cercato di imparare cose nuove, di esplorare nuovi ambiti, di essere curiosa e anche di creare nuovi lavori, nuovi strumenti.

Ho anche cambiato molto spesso l’ambito di attività: sono partita dal marketing strategico nel settore dei beni di largo consumo, poi sono passata alla consulenza e alla revisione di bilancio, poi sono entrata in azienda e ho fatto un periodo nell’audit, poi un’attività nello staff dell’amministratore delegato che mi ha consentito di sviluppare anche una vista dell’impresa “dall’alto”, e poi mi sono specializzata e ho le mie competenze di Risk Manager. Lavoro nel Risk Management ormai da 15 anni, anche se ho mantenuto molto il contatto con il mondo aziendale esterno e anche con il mondo dell’università, dove ho anche insegnato per molti anni.

Proprio la curiosità per gli aspetti teorici mi ha probabilmente avvicinato ai temi dei Futures Studies quando me ne sono imbattuta. Nel 2013 ho iniziato una nuova avventura: mi è stato affidato il compito di sviluppare un approccio per la gestione dei rischi emergenti e reputazionali e quindi il progetto della creazione di un osservatorio dedicato: l’Osservatorio Reputational & Emerging Risk, che è concepito come una finestra sul mondo esterno con un approccio anticipante, quindi sostanzialmente una finestra sul futuro con l’obiettivo di anticipare i trend di cambiamento del contesto esterno per prepararsi in anticipo a prevenire i rischi e a gestire le opportunità. In quel momento ho intuito quanto in un contesto di cambiamento sempre più accelerato, sempre più interconnesso, fosse importante dotare il Gruppo di una visuale che lo aiutasse sia a guardare lontano, e quindi ad anticipare quelli che sono i cambiamenti in arrivo, sia a riuscire a vederli in maniera integrata con un approccio strutturato e sistemico.

Nel gennaio del 2014 l’Osservatorio viene costituito con la creazione di un Tavolo interfunzionale dedicato all’anticipazione dei trend e dei temi emergenti. In questo contesto nel 2015, nelle mie esplorazioni, vengo a sapere che a Trento si svolgerà la prima Conferenza internazionale sull’Anticipazione e quindi faccio di tutto per essere presente, e quando arrivo scopro anche con un certo stupore che non ci sono molte persone che fanno parte del mondo delle aziende e nessuno del settore finanziario. Però lì conosco il professor Poli, i professionisti di -skopìa e l’Anticipazione… e da allora la Futures Literacy non l’ho più abbandonata, ed è entrata a far parte anche del mio ambito di ricerca e di lavoro. Nella conferenza successiva “Workshop on Anticipation, Agency and Complexity che si è tenuta nel 2017 sempre a Trento, ho partecipato anche come relatrice presentando un paper, preparato a quattro mani con Gianluca Rosso, mio collega nell’ambito dell’Osservatorio, che conteneva proprio una proposta di framework per la gestione dei rischi emergenti in scenari strategici di incertezza e complessità, contributo che poi è stato raccolto nel volume Anticipation, Agency and Complexity“.

Hai testato sulla tua esperienza se ragionare di futuro predispone ad una apertura e a una maggiore proattività anche nel superare situazioni negative?

Sì, nella mia esperienza ho testato con mano che l’anticipazione è molto importante anche per la gestione dei rischi perché è un tassello fondamentale di quella che viene chiamata la “resilienza trasformativa”, cioè la capacità di anticipare eventuali crisi, preparandosi quindi a prevenire i rischi e possibilmente a trasformarli in opportunità. L’Anticipazione su finestre lunghe, quindi con orizzonti lunghi come sono quelli tipici degli Studi di futuro, è importante per avere il tempo di prepararsi. Ci sono indubbiamente cambiamenti che sono anche molto lenti, si pensi al cambiamento climatico o al cambiamento demografico, ma anche i tempi per l’adattamento sono almeno altrettanto lunghi e quindi è importante riuscire a vedere per tempo le crisi ed i possibili rischi in arrivo per avere il tempo di adattarsi – senza contare il fatto che ci possono essere delle improvvise accelerazioni o cambiamenti repentini, come ad esempio la pandemia da Covid-19.

Il Risk Management tradizionalmente è orientato all’analisi dei dati del passato, eppure la crisi pandemica ha dimostrato una volta di più che è importante passare da una logica di tipo reattivo a una logica anticipante, e quindi ad uscire dalla “trappola” del Risk Management tradizionale, che tende a pianificare le risposte per l’ultima crisi che è avvenuta invece di prevedere quella che sarà la crisi successiva. Con il Covid-19, ad esempio, ci siamo preparati a gestire una crisi pandemica ma è importante anche chiedersi quale potrebbe essere la prossima crisi di questo genere? Molti segnali indicano che la prossima crisi potrebbe essere una cyber-pandemia che, secondo le stime del World Economic Forum, avrebbe una velocità di propagazione dieci volte superiore a quella, che già ci è sembrata molto alta, del Covid-19. È quindi importante non farsi trovare impreparati. Senza contare che passare da un mondo ibrido come l’attuale, ibrido tra virtuale e fisico, ad un mondo completamente fisico come possibile risposta ad una cyber-pandemia sarebbe molto più lungo e difficoltoso rispetto al processo inverso che abbiamo fatto con il Covid-19, in cui ci siamo “trasferiti” dal mondo fisico al mondo virtuale, lì dove non poteva raggiungerci il virus. Tornare ad un mondo completamente fisico sarebbe molto, molto difficile e con molti impatti sociali.

E quindi è importante, sia da un punto di vista del Risk Management che da quello delle singole persone e delle aziende, adottare un approccio anticipante per poter essere pronti e resilienti di fronte a crisi e a possibili cigni neri che possono essere sempre più frequenti, perché il passato non è più sufficiente a interpretare quelle che possono essere le prossime sfide. Il futuro non dà dati, però dà segnali che possono essere importanti per intercettare quelli che potranno essere i prossimi rischi e le prossime opportunità.

Dal punto di vista della tua esperienza personale e professionale, hai potuto “toccare con mano” che l’Anticipazione è fatta per prendere decisioni, cambiare e trasformare la realtà? Che trasforma le persone ma anche le organizzazioni?

Sì, proprio attraverso il contatto con la Futures Literacy, con il professor Poli e con -skopìa. Dal 2017 abbiamo avviato una collaborazione all’interno dell’Osservatorio Reputational & Emerging Risk ed accanto all’anticipazione dei trend emergenti è stato sviluppato un nuovo filone di attività dedicato al Foresight e agli Esercizi di futuro. L’obiettivo è quello di allenare il Gruppo Unipol a lavorare sul futuro avviando un percorso strutturato di Costruzione di scenari di lungo periodo che ha l’obiettivo di mappare lo spazio dei possibili futuri per gli ambiti più strategici del Gruppo. Gli scenari sono stati costruiti anche con il coinvolgimento di team di lavoro interfunzionali proprio per mobilitare il know-how interno, mescolare diversi punti di vista e anche diverse competenze. L’obiettivo è proprio quello di preparare le aziende del Gruppo ad allenarsi al futuro, o meglio ai futuri, per prendere decisioni più consapevoli e informate nel presente: cioè sviluppare decisioni strategiche che siano “futures proof”, quindi a prova di più futuri con un’ottica più aperta e meno strutturalmente pericolosa rispetto a quella di costruire decisioni strategiche basate su un’unica idea di futuro.

Questo processo di allenamento avviene non solo attraverso la costruzione di mappe dei “futuri possibili”, ma anche utilizzando uno strumento innovativo, che abbiamo progettato insieme a -skopìa, che cerca di anticipare quella che sarà la possibile direzione della realtà rispetto agli scenari identificati, tool che abbiamo denominato “Bussola degli Scenari”. L’obiettivo non è solo quello di creare strumenti e di metterli a disposizione del Gruppo per le decisioni strategiche, ma anche di creare all’interno del Gruppo Unipol una cultura orientata al futuro che venga utilizzata nei processi decisionali dell’oggi. E in questo senso appunto sono stati creati team interfunzionali, si sono svolte attività di formazione propedeutiche agli esercizi di futuro, e infine è stata predisposta una collana di Quaderni per diffondere all’interno del Gruppo i risultati degli esercizi svolti.

E il complimento più bello sul lavoro che abbiamo svolto all’interno dell’Osservatorio che ho ricevuto in questi anni è stato che l’Osservatorio ha contribuito a creare all’interno del Gruppo Unipol una Cultura di Futuro e penso che questo sia un risultato molto, molto importante. Un futuro che non è astratto, ma un futuro che si crea attraverso le decisioni che si prendono dall’oggi: un futuro da utilizzare nel presente.

Noi di -skopìa stiamo portando l’approccio anticipante a livello di governance privata, ma anche pubblica. Secondo te su che cosa bisognerebbe insistere perché questo approccio diventi effettivo?

Credo che bisognerebbe lavorare soprattutto in termini di cultura. Ovvero insegnare il Foresight e la gestione della complessità nelle scuole e nelle aziende perché per uscire dalla gabbia del presente e dalla paura del futuro è importante creare una cultura del futuro come un sistema aperto, che si costruisce a partire dall’ oggi, e per il quale ci sono delle metodologie per approcciarlo e per costruirlo secondo la direzione auspicata. È importante sfatare il mito che il Foresight e l’Anticipazione siano delle tecniche per prevedere il futuro: in realtà sono delle tecniche per esplorare diversi possibili Futuri, capirne le opportunità e anche i possibili rischi e quindi avere un supporto per poter agire oggi al fine di dare forma al futuro che vogliamo. E credo che la gestione della complessità e la previsione strategica dovrebbero fare parte integrante di quella che è un’alfabetizzazione del XXI secolo, perché fanno parte del kit di istruzioni per l’uso per poter abitare consapevolmente un mondo che è sempre più incerto, sempre più complesso, sempre più interconnesso. Un mondo che quindi richiede di avere una vista d’insieme, di sapere convivere con l’instabilità e anche di saper utilizzare il futuro nel presente perché il passato, per quanto importante, non è più sufficiente per interpretare quelle che sono le sfide che ci attendono.

Sarebbe molto importante, di conseguenza, lavorare sotto il profilo dell’educazione nella scuola, ma anche nei sistemi di lifelong learning delle aziende, e quindi fare in modo che siano competenze che vengono sviluppate e promosse nei sistemi educativi e nelle aziende. Ci sono comunque dei segnali importanti di interesse da parte delle istituzioni alte perché appunto sappiamo che la Commissione europea ha istituito una vicepresidenza dedicata allo Strategic Foresight, la stessa Organizzazione per la Cooperazione e per lo Sviluppo Economico sta promuovendo la previsione strategica sia verso i governi sia nella cooperazione globale proprio per costruire policy migliori. Credo che un’altra strada, oltre all’educazione, potrebbe essere quella di una sorta di “contagio esemplare”, quindi una rete di istituzioni, aziende, persone, che facciano da moltiplicatori di cultura di futuro. Una sorta di diffusione di best practice per fare in modo di far vedere concretamente, toccando con mano, anche ad altri che queste tecniche possono effettivamente essere di supporto e quindi portare avanti i casi che possono essere di “successo”. Cioè persone, istituzioni e aziende che hanno lavorato in questa direzione e che possono comunque creare un movimento positivo.

Ma è necessario uno storytelling diverso! Ancora oggi sento ogni tanto persone che mi dicono che prevedo il futuro, paragonandomi ad una sorta di oracolo. No! Non è quello, non è avere la sfera di cristallo. È cercare di affinare la vista, di cogliere dei segnali e di avere questa visione un po’ più macroscopica per individuare i vari pezzi del puzzle: che è competenza, ma anche allenamento. E così l’educazione insieme a questo contagio esemplare potrebbero veramente funzionare; chiaramente le Istituzioni potrebbero avere un ruolo importante, ma è altrettanto essenziale che vi sia anche un movimento collettivo che parte dal basso.

Ringraziamo Liliana Cavatorta, perché le sue parole e la collaborazione con l’Osservatorio Reputational & Emerging Risk continuano ad essere per noi fonte di contaminazione e di ispirazione in uno scambio professionale che ha il coraggio di “fare” cose innovative in un’ottica di lungo periodo.

Sara Boller
Sara Boller