Neo Futuristi - Intervista a Deli Salini - SKOPIA Anticipation Studies Blog

Neo Futuristi – Intervista a Deli Salini

Inauguriamo con il presente articolo un nuova rubrica dedicata ai nostri/alle nostre “compagni/e di viaggio” alla scoperta dei futuri nelle scuole e nelle organizzazioni, nella ricerca sulle metodologie e nella disseminazione della Futures Literacy. In questa prima puntata Antonio Furlanetto intervista Deli Salini

Dr. Deli Salini, Senior Research e docente presso il dipartimento Formazione continua e Ricerca e sviluppo per l’Istituto Universitario Federale per la Formazione Professionale – IUFFP

Per prima cosa, Deli, ti chiederei di presentare te stessa e il tuo ambito professionale. Come sei arrivata alla Futures Literacy?

Di professione sono docente, ricercatrice e consulente nel campo della formazione di persone adulte. Come docente formo insegnanti e formatori su metodi e pratiche formative. Come ricercatrice, mi occupo di apprendimento lungo tutto l’arco della vita e in particolare dei processi di apprendimento nei contesti lavorativi e nei contesti informali o non formalizzati. Come consulente mi occupo di orientamento e sviluppo personale, formo consulenti in questo ambito con un approccio che riconosce e valorizza l’esperienza individuale e quanto appreso in contesti extrascolastici.

Quando ci si occupa di educazione per gli adulti, ci si dedica anche alla loro progettualità. In questo ambito da anni mi interesso alle modalità con cui uomini e donne si pongono davanti al proprio futuro e quindi alla progettualità individuale, tema fortemente legato a quello dell’Anticipazione. Nel corso della mia tesi di dottorato di ricerca all’Università di Ginevra, ho lavorato sulla relazione di consulenza nell’ambito della validazione degli apprendimenti esperienziali (accompagnamento alla elaborazione di un dossier per il riconoscimento di esperienze di lavoro ai fini di ottenere un titolo qualificante). Questo studio mi ha permesso di individuare tutta una serie di caratteristiche di questo tipo di colloqui, tra le quali un problema molto tipico dei candidati: la dimensione dell’inatteso. Ho quindi cominciato ad approfondire il tema dell’anticipazione, in riferimento alla semiotica di Peirce e ai processi di “abduzione”.

Grazie a questo studio ho ottenuto un finanziamento per poter svolgere, presso l’Università di Digione, una ricerca sul campo e sull’Anticipazione nel settore della Consulenza. La review di letteratura internazionale svolta a quell’epoca mi ha portato nel 2014 a scoprire, oltre che gli studi della Prospective francese o di matrice anglofona, la cattedra UNESCO di Roberto Poli e gli Studi sui Futuri in Italia. Ho dunque iniziato ad occuparmi dei processi di anticipazione collettiva, prendendo i primi contatti con Roberto Poli. Nel 2015 ho partecipato all’Università di Trento alla Prima Conferenza sull’Anticipazione, un convegno che ho trovato affascinante per la numerosissima presenza di professionisti di tutte le discipline, dagli economisti agli utopisti, dagli educatori alle grandi organizzazioni. Mi sono detta “ecco questa cosa mi piace, mi piace come si lavora”, l’approccio olistico e interdisciplinare. Questa nuova consapevolezza mi ha portato a integrare il lavoro sull’accompagnamento della progettualità individuale con il discorso e alcuni principi dei sistemi anticipanti. Per esempio, sovente mi capita di proporre ai miei interlocutori una domanda da intervista strategica: “Bene, oggi siamo qui, ma immaginati tra 30 anni. Dove sarai tra 30 anni!?”

E come sono entrati nel tuo lavoro e nelle tue ricerche gli Studi sui futuri e la collaborazione con -skopìa?

Durante un progetto di ricerca sul rapporto tra le tecnologie e la professione Infermieristica ho cominciato a indagare con l’approccio semiotico anche la percezione del futuro degli infermieri e delle infermiere. E mi sono accorta per esempio di come ci fosse una specie di dicotomia tra quelli che vedevano nel futuro la soluzione di tutti i problemi e quelli che invece ritenevano che il futuro fosse la fonte delle disgrazie. Così ho cominciato a immaginare tre tipologie di intervento: introdurre aspetti anticipanti ad un problema tipico dell’attività infermieristica che è quello della trasmissione delle informazioni dei pazienti all’interno dell’ospedale, proporre iniziative che portassero “pezzettini di futuro” in Ticino con testimonianze ed esperienze dall’esterno e infine elaborare progetti per migliorare la proattività del personale infermieristico nel settore della salute. Queste idee hanno incontrato il favore di diversi enti finanziatori e in particolare del Cantone Ticino per l’ultimo progetto in ordine di tempo, che si chiama Re-Care, volto a promuovere la resilienza e il reinserimento del personale curante nelle strutture di lunga durata (case per anziani e cure a domicilio). In questo progetto, si è potuta promuovere l’idea di lavorare con gli operatori sanitari sul loro modo di approcciarsi al futuro, inserendo una proposta articolata con altre due sezioni del progetto, che riguardano gli aspetti di formazione continua e la promozione del clima di lavoro nelle organizzazioni sanitarie.

Per accompagnare l’attività di facilitazione nella parte di formazione innovativa ho coinvolto Roberto Poli e il team di -skopìa per accompagnarci con i loro metodi nella formazione di facilitatori e facilitatrici atti a gestire degli “Atelier dei Futuri”. Abbiamo costituito sei unità composte da una o due docenti della Scuola specializzata superiore di cure infermieristiche del Cantone Ticino e da uno o due curanti delle strutture sanitarie che hanno aderito al progetto. Queste unità proporranno nei tempi e nei modi compatibili con la gestione della pandemia, degli atelier nelle istituzioni sanitarie di riferimento, strutturati in modo interprofessionale. In questi “atelier dei futuri”, saranno proposti approcci anticipanti originali affinché ogni istituzione si chini sul proprio progetto di sviluppo a lungo termine e generi proposte operative interessanti e praticabili. Devo dire: c’è grande entusiasmo tra i partecipanti a questo progetto, pur tenendo in considerazione che loro lavorano in ambito sanitario e quindi hanno sempre da gestire non solo l’attività di routine ma anche l’emergenza – immaginate le case per anziani durante la pandemia.

Mi hai parlato di persone entusiaste nonostante la routine e l’emergenza. Hai testato sulla tua esperienza se ragionare di futuro predispone ad una apertura e a una maggiore proattività anche nel superare situazioni negative?

Dire che non c’è il futuro ma ci sono diversi futuri – possibili, probabili, desiderabili – e che il futuro è nelle pieghe del presente, per usare una metafora di una delle partecipanti, è già una scoperta illuminante per le persone, che sono abituate a pensare in modo lineare. L’idea di uscire da un discorso sul futuro molto generico – e qui anche l’aspetto metodologico è importante – basato sulle premesse del presente e trovare altre strade per accedere ai futuri possibili, rende curiose le persone. Più curiose di osservare quanto il presente, in fondo, contraddica alcuni aspetti previsti dal passato e come la questione si riproponga nelle narrazioni sui futuri. Poi l’evento della pandemia è emblematico perché ha colto quasi tutti di sorpresa, anche i partecipanti, che vedono nel progetto Re-Care uno stimolo che fa dire loro: “No, basta, bisogna lavorare in altri modi”. E quindi sulla resilienza sono convinta che l’approccio anticipante ha un effetto sicuro. Il progetto ha anche un altro obiettivo: il reinserimento del personale nelle cure infermieristiche. In Svizzera abbiamo un grosso problema di penuria del personale e di burn out. Molti abbandonano la professione, smettono e cambiano mestiere, alcuni già dopo pochi anni dalla formazione, in media dopo 10-15 anni di attività. Certo ci sono questioni molto concrete che influiscono su questi abbandoni, come quelle contrattuali (salari, ferie, gestione dei turni) è risaputo, ma c’è un altro problema che abbiamo indagato ed è legato al clima di lavoro, a situazioni fossilizzate, a rapporti difficili all’interno dell’equipe, a un lavoro che è diventato troppo burocratico, troppo ripetitivo in cui le persone che sentivano la loro missione, l’hanno smarrita. Per questo vorremmo che all’esperienza degli Atelier dei Futuri possano partecipare anche delle persone che al momento sono fuoriuscite dalla professione per i motivi più svariati ma che sono rimaste vicine al settore. Questo affinché possano trovare un modo accattivante e stimolante per rientrare nel clima, nell’ambiente di lavoro al momento senza doversi impegnare in turni di servizio che magari non potrebbero ancora sostenere.

Noi di -skopìa stiamo portando l’approccio anticipante a livello di governance per le organizzazioni di ogni tipo, aziende private o amministrazione pubblica. Secondo te, su che cosa bisognerebbe insistere perché questo approccio diventi effettivo?

Da quello che ho potuto osservare, bisogna partire sicuramente da un lavoro introduttivo di sensibilizzazione su che cosa vuol dire lavorare con i futuri, perché ha una dimensione spiazzante e fa vedere cose che non si erano immaginate e quindi apre un po’ la mente dal punto di vista proprio del cambiamento. Poi nel caso di un’organizzazione bisogna parlare con tutti i rappresentanti a tutti i livelli organizzativi. Non è solo una questione di decisori. In questo senso ho l’impressione che bisogna anche saper lavorare bene su aspetti legati a quello che si chiama classicamente team building, l’interazione fra le persone. Le proposte formative di -skopìa lavorano molto proprio sulla cura della relazione tra le persone, cioè tutta una serie di aspetti che aiutano le persone a entrare anche nei metodi.

Ed inoltre è necessario un salto di qualità rispetto ad un primo dubbio che sorge quando ci si mette in un’ottica anticipante: “Ci saranno i soldi per attuare il cambiamento che voglio?” Le esperienze che ho raccolto in passato nell’ambito dell’educazione terapeutica, metodo di lavoro che privilegia i tempi di accompagnamento e una relazione diversa con i pazienti, mi hanno convinto del fatto che bisogna colmare le differenze di informazione tra chi lavora su un progetto di futuro e chi gestisce gli aspetti amministrativi ed economici di una organizzazione. È importante far comprendere le finalità di un progetto, ad esempio dal punto di vista della cura, ma anche trovare le parole giuste per spiegare a chi dovrebbe finanziare il progetto i “benefit” di lungo termine di un intervento di educazione terapeutica, o nel nostro caso degli interventi progettati secondo un approccio anticipante, per le finanze di un ospedale e per le finanze pubbliche. Bisogna costruire delle sinergie, dei ponti anche tra questi mondi, economia e socialità, per la trasformazione sociale delle organizzazioni. Ritengo infine che siano da valorizzare i progetti pilota, perché un successo sperimentale poi si propaga a macchia d’olio e porta a cambiamenti reali.

Grazie Deli. Hai detto tante cose interessanti da un osservatorio diverso dal nostro, non solo come posizione geografica ma anche come ambito professionale. Facciamo i migliori auguri agli Atelier dei Futuri, un progetto di anticipazione con obiettivi precisi che si è dato però tempi e modalità per fare un percorso tranquillo, ricco e compatibile con il contesto e i tempi di incertezza che stiamo vivendo.

Antonio Furlanetto
Antonio Furlanetto
Dopo la laurea in Germanistica presso la facoltà di Trieste (ma anche Berlino e Lubiana) ha conseguito il Master in Diritto delle Responsabilità Civili presso l'Università di Genova, specializzandosi poi nel problem solving transnazionale e nella risoluzione dei conflitti culturali. Ha frequentato il Master in Previsione Sociale presso l'Università di Trento. Quando approda in -skopìa porta con sé oltre vent'anni di esperienza professionale nel settore delle assicurazioni (sinistri internazionali, fino al ruolo di country manager), nel risk manager (è socio di ANRA) e nel business aziendale per contribuire alla costruzione dei prodotti dedicati alle imprese e alle amministrazioni pubbliche.