Gli Studi di Futuro nella consulenza aziendale: intervista a Michela Melchiori di Hermes Consulting  - SKOPIA Anticipation Studies Blog

Gli Studi di Futuro nella consulenza aziendale: intervista a Michela Melchiori di Hermes Consulting 

Gli Studi di Futuro nella consulenza aziendale possono fornire un interessante contributo per inaugurare un nuovo Umanesimo in questa era di transizione. 

Che ruolo possono avere gli Studi di Futuro nella consulenza aziendale?

Lo abbiamo chiesto a Michela Melchiori, futurista, consulente di direzione, coach e senior partner di Hermes Consulting Srl, in questa intervista a cura del nostro Antonio Furlanetto.

Passione per i cambiamenti e per il bene comune di persone e organizzazioni. Ma anche la capacità e la volontà dei futuristi di contribuire ed orientare il cambiamento nella nostra epoca fatta di grandi transizioni: nelle parole e nell’esperienza professionale di Michela c’è tutto questo e molto altro.

Studi di Futuro nella consulenza aziendale: la parola a Michela Melchiori di Hermes Consulting 

AF:  Grazie Michela di voler condividere con noi e i lettori del nostro blog le tue esperienze personali e professionali. Cosa ti ha portato ad avvicinarti agli Studi di Futuro? In che modo fanno ormai parte della tua quotidianità professionale? E cosa senti di essere oggi nella tua storia professionale?

MM: Sento di essere una persona che oggi è dove è per passione. Se guardo alla mia storia professionale, la maggior parte delle mie scelte sono state fatte per passione e perché stavo bene rispetto alle cose a cui andavo incontro.
Oggi  mi sento di essere dove 26 anni fa avrei voluto essere, in quel mondo che allora cominciavo a concepire, lo spazio nel quale avrei voluto stare: in un impegno forte verso l’evoluzione, verso lo sviluppo sociale attraverso le aziende e di conseguenza verso lo sviluppo con le persone, la trasformazione. 

Il tema del cambiamento per me è sempre stato una questione di ricerca non facile nella mia vita, che poi ho amplificato in quello che è diventato il mio lavoro. 
Questo mi porta certamente a fare fatica, ma non a stancarmi. Perché il mio agire è alimentato da questo desiderio di essere un contributo per l’evoluzione, per il cambiamento. Una trasformazione che vedo intrinseca nell’essere umano, qualsiasi individuo, partendo dal presupposto che ciascuno di noi ha qualcosa di importante da dare alla comunità. 

Lo scopo di quello che faccio quotidianamente sta proprio nel sostenere i sistemi fatti di persone nello scoprire e rafforzare i significati per i quale esistono. Scoperta che ha a che fare con la storia della persona, con il suo presente, ma anche con il suo futuro: che cosa intravvede? che cosa riesce ad intercettare? Da che cosa è trasportata?

Quello che vale per la persona vale anche per le organizzazioni che sono semplicemente organismi e hanno le stesse caratteristiche e le stesse componenti di un individuo. 
Il mio percorso professionale ha seguito diverse strade, ovviamente con inciampi ed errori, grazie ai quali tante cose che hanno preso forma e hanno funzionato. Oggi alla luce di queste esperienze posso mi sento professionalmente “rotonda”.

Sento, anche se questo è un punto di estrema attenzione, di tenere tra le mani diverse sfumature che hanno a che fare con l’evoluzione, con la trasformazione, col cambiamento, sia che riguardi la persona o una organizzazione.   
Nel tempo mi hanno accompagnato la curiosità, la spinta a guardare con un cannocchiale che cerca ciò che è distante, ma anche l’ apertura, ad ampio spettro. La difficoltà che incontro ancora oggi nel guardare ai futuri è data dal riconoscere se la lente del cannocchiale è “pulita”.   

Se la curiosità mi spinge, c’è qualcosa “che mi attira” dai futuri, come se dagliscenari futuri arrivassero dei “ganci” a cui aggrapparsi per essere trasportati e andare ad esplorare attraverso la mente, cosa sta per avvenire o che cosa potrebbe avvenire.   
Trovo che nella nostra epoca la visione e l’immaginazione siano utilizzate ma non sempre in una prospettiva equilibrata e, per certi aspetti, anche onesta. 

È necessario riprenderci la forza dell’immaginazione, alla quale si può unire il sogno, la capacità di visione, perché è determinante per riconnetterci all’essere umano in quanto tale. 

Dopodiché il tutto ovviamente non ha da rimanere solo un sogno, ma può trasformarsi in prospettiva, deve generare idee e concretizzarsi attraverso progetti. E questo è, a tutti gli effetti, il processo di cambiamento, il processo di evoluzione. Ho imparato nel tempo che i sogni possono essere progetti con un’anima e ho anche visto che spesso i progetti senza anima sono destinati a naufragare.

Per questo mi sono avvicinata anche con estrema gioia agli Studi di Futuro, dapprima con l’Università di Trento e poi con il corso professionalizzante “Professionista di Previsione Strategica” di -skopìa. Perché ho sentito che in quegli studi potevo trovare quello che non avevo trovato altrove, cioè una solidità scientifica che per me è fondamentale; conoscenza e applicazione della conoscenza, che sono alla base di qualsiasi azione che voglia generare utilità, concretezza e solidità. 

Ho colto questa opportunità che si è infilata nelle pieghe del mio approccio e dei miei strumenti di lavoro, tanto da diventare una costante: oggi non posso fare a meno di pensare in un modo anticipante.   
Questo vuol dire guardare alle cose dalla prospettiva dello “stato presente”, che è fondamentale e deve essere vissuto appieno, ma anche con un occhio strabico rivolto al futuro, che ricerca segni di ciò che potrebbe essere in evoluzione; lo scopo di tutti questo è pratico e funzionale: serve a prendere decisioni nel presente. Un po’ come un “sole fuori campo”, un magnete che attrae e che è determinante per generare il movimento.
Perché poi in fondo lo scopo, a mio modo di vedere, della vita dell’uomo è proprio quello di muoversi verso un orizzonte, anche se sappiamo che questo orizzonte si sposta ogni qualvolta noi facciamo dei passi per raggiungerlo.

Gli  Studi di Futuro, le metodologie dell’Anticipazione fanno parte ormai della mia professionalità e le condivido nei contesti con i quali lavoriamo: le aziende dove tuttavia la cultura dei futuri e della visione, non sono state sempre nutrite e utilizzate per orientare le decisioni, in particolare nell’ultimo decennio in cui la vista è stata molto “a breve”.

Lavorare sulle anticipazioni diventa ad un certo punto, una cosa di cui non puoi più fare a meno, quasi una dipendenza, perché è intrigante, non tanto per andare a scovare quello che sarà, ma per mettere la mente nella condizione di fare connessioni tra presente e futuro, di essere libera di scegliere e decidere responsabilmente a favore del bene comune.

AF: Le tue parole mi fanno venire in mente due quesiti. Il primo riguarda il modo in cui l’Anticipazione può entrare concretamente nell’attività di tutti i giorni e in quella strategica di pianificazione delle organizzazioni. E quindi ti chiedo dove vedi in modo pragmatico la sua applicabilità?

Il secondo riguarda invece l’ambito dell’etica e il modo in cui il discorso sul bene comune si collega alla necessità di avere una “lente pulita” con cui guardare ai futuri. 

MM: l’aspetto etico è per me in ogni cosa si faccia, si pensi, si dica e per quanto mi riguarda è fonte di ispirazione e di aspirazione. Nella consapevolezza di essere “piccoli esseri umani”, sappiamo di fare tanti errori, spesso in buona fede, altre volte no. Questi errori sono frutto di scelte e possono negare a qualcun altro o al sistema opportunità buone di evoluzione. Il tema della correttezza, della pulizia e dell’onestà con la quale guardare ai futuri mi aiuta a mettere attenzione, e a volte non è sufficiente. Questo pensiero negli anni mi ha aiutato a riflettere: cogliere segnali o indirizzi è stato ed è ancor oggi utilizzato spesso ai fini di pochi e non di molti.  Anzi, addirittura viene utilizzato con scopi manipolativi per poter orientare grandi scelte, grandi comunità, grandi famiglie e grandi target.

Questa è ovviamente la parte pericolosa dell’anticipazione, che quindi cerco di maneggiare con estrema cura, perché aiutare un’organizzazione a guardare ai futuri probabili, plausibili o possibili è una responsabilità nella misura in cui poi non sei tu a orientare le decisioni di un’organizzazione. Non sei tu a dire all’organizzazione che cosa può essere corretto o meno nei confronti di un contesto esterno o interno. Puoi certamente fare delle raccomandazioni, mostrando quelli che possono essere gli effetti di una scelta. In questo senso dico che bisogna guardare con una lente pulita e onesta e soprattutto equilibrata, quando si utilizzano gli strumenti di esplorazione del futuro.   

Non a supporto di pochi e tenendo sempre conto del loro impatto profondo, cioè degli effetti che queste modalità di indagine, questi approcci e questi strumenti di futuro hanno sul sistema, intendendo con questo l’azienda, la società le persone all’interno dell’azienda, le loro famiglie, il Paese.
Forse è una “amplificazione” eccessiva, quella che mi guida, ma in questa amplificazione eccessiva io trovo comunque quel pensiero che mi fa dire se una cosa è in equilibrio, pulita e onesta, oppure se può invece generare impatti non ecologici.   

E qui vengo al secondo punto che mi chiedevi rispetto alla quotidianità della mia attività. Questa necessità di guardare ai futuri ha a che fare all’interno delle organizzazioni con coloro che comunque sono chiamati a prendere decisioni per l’oggi e per il domani. Dall’evoluzione che stiamo osservando probabilmente nei prossimi anni le decisioni verranno prese con modalità diverse. Sto pensando a come già grandi realtà stanno modificando la propria forma, riducendo la gerarchia di potere e alimentando una gerarchia di responsabilità. 

Oggi vediamo il valore di un approccio anticipante non solo per i decisori ma più in generale per le persone, perché è un modo di riprendere in mano una vita di prospettiva e di progettualità con i piedi nel presente, per non abbandonarsi ad  una vita “al brucio” fatta esclusivamente di quotidianità. 

AF: Dove si dovrebbe spostare l’attenzione e l’attività di un/a futurista o di una società di consulenza, come quella in cui tu operi, per favorire o sensibilizzare le aziende e le persone su queste dinamiche, sui cambiamenti epocali in serie che si preannunciano all’orizzonte?
Come possono diventare le competenze di futuro una abilità diffusa all’interno delle organizzazioni?

MM: le decisioni oggi sono ancora prese da pochi e in determinati punti dell’azienda. Nel prossimo futuro probabilmente ciò cambierà nella misura in cui ci saranno tanti punti nevralgici di una organizzazione ai quali, se viene data loro la possibilità di guardare ai futuri, saranno davvero affidate le decisioni, diventando, per così dire, “portatori d’acqua” al sistema decisionale di un’organizzazione. Come se un’organizzazione fosse una membrana e avesse la possibilità di assorbire attraverso un suo sistema estremamente aperto, attraverso tutti i suoi punti di capillarità, sul territorio e non solo sul territorio, i possibili scenari futuri rispetto a determinati ambiti di evoluzione

Il passo successivo sarà dato dalla capacità e dalla velocità di rielaborare nella pancia dell’organizzazione e generare così scelte e decisioni più complete e consapevoli che impatteranno positivamente su tutte le parti del sistema e della società.

In altri termini non possiamo parlare di futuri se non siamo guidati da un desiderio di sostenibilità e dal bisogno di sostenere il processo evolutivo con la solidità dell’essere umano, far riscoprire alle persone la possibilità di essere parte attiva di un “disegno futuro”.  Questi sono i principi guida per noi di Hermes da quando siamo piccini. 

Credo che questa sarà la sfida. 
Ci sono organizzazioni che stanno prendendo in questi giorni, decisioni importanti sull’introduzione di tecnologie spinte basate sulla IA e si stanno domandando come tutto questo potrà effettivamente essere assorbito e trovare linfa di idee, e che non sia solo consumo. Se non apriamo alla possibilità di far evolvere la cultura delle organizzazioni verso un nuovo Umanesimo, rischiamo che tutto questo possa andare ancora una volta ad appannaggio di pochi che la sapranno utilizzare mentre gli altri la subiranno e non ne trarranno vantaggio.

Molti saranno allora utilizzati dalla tecnologia e non viceversa e quindi la tecnologia perderà in parte il suo scopo che ha dalla notte dei tempi: ridurre le fatiche e aiutare l’essere umano.

A mio modo di vedere noi siamo dotati della più sofisticata delle tecnologie, la nostra mente, la nostra coscienza, i nostri pensieri, le nostre emozioni. l’intelligenza artificiale risponde per quello che sa noi per un insieme di sensibilità che vanno oltre il cervello. Questa è a mio modo di vedere la nostra specialissima tecnologia dalla quale poi si originano tutte le cose. E trovo che proprio in questo momento possiamo recuperare all’interno delle organizzazioni la “tecnologia” della coscienza e della mente umana a favore della tecnologia dell’IA, che è sempre frutto dei nostri pensieri e quindi è “olografica” rispetto all’uomo. Facendo però molta attenzione che il rischio che corriamo è di essere usati e non di usarla.

***

Non è un caso che il discorso di Michela Melchiori sulle tecnologie ed in particolare sull’intelligenza artificiale si innesti su una più generale preoccupazione di mantenere una ”consistenza e solidità umana”, che in ambito aziendale si realizza soprattutto nell’organizzazione e nelle relazioni tra le persone (quella che ancor oggi viene chiamata, forse con una terminologia quasi obsoleta, la gestione delle risorse umane) e quindi nell’idea di “lavoro”. E il lavoro rappresenta forse oggi una delle più grandi incertezze non solo sul medio e lungo periodo, ma anche nel futuro prossimo. In questo campo Hermes Consulting Srl e -skopìa sono partner che scandagliano assieme i futuri per essere al fianco delle organizzazioni per aiutarle a governare i cambiamenti. Ne è testimonianza la recente iniziativa di Hermes di indagine ed elaborazione sul tema “Hybrid Work: germogli di futuro”.

Potete trovare maggiori informazioni sull’attività di consulenza in partnership per le aziende qui.

Antonio Furlanetto
Antonio Furlanetto
Dopo la laurea in Germanistica presso la facoltà di Trieste (ma anche Berlino e Lubiana) ha conseguito il Master in Diritto delle Responsabilità Civili presso l'Università di Genova, specializzandosi poi nel problem solving transnazionale e nella risoluzione dei conflitti culturali. Ha frequentato il Master in Previsione Sociale presso l'Università di Trento. Quando approda in -skopìa porta con sé oltre vent'anni di esperienza professionale nel settore delle assicurazioni (sinistri internazionali, fino al ruolo di country manager), nel risk manager (è socio di ANRA) e nel business aziendale per contribuire alla costruzione dei prodotti dedicati alle imprese e alle amministrazioni pubbliche.